Il processo di solidificazione/stabilizzazione: materiali, tecnologie e normativa di riferimento

Il trattamento di solidificazione/stabilizzazione, indicato spesso con la sigla S/S, è un trattamento chimico-fisico finalizzato all’inertizzazione dei contaminanti all’interno del suolo \cite{Chen_2009}. Tale obiettivo viene raggiunto mediante l’utilizzo di agenti leganti che conferiscono una struttura cristallina e compatta alla matrice di suolo trattata \cite{Scanferla_2009,Liu_2019}. La solidificazione garantisce una stabilità dal punto di vista fisico e dimensionale, confinando i contaminanti nella massa trattata e riducendone la permeabilità, al fine di evitare la lisciviazione da parte delle acque meteoriche \cite{Reddy_2019}; la stabilizzazione, invece, effettua un’immobilizzazione di tipo chimico riducendo la solubilità dei contaminanti e la loro tossicità e mobilità all’interno del terreno e promuovendo la formazione di legami chimici tra contaminanti e reagenti adoperati \cite{Reddy_2019,Liu_2019}L’applicazione di questa tipologia di trattamenti può avvenire sia in presenza di suoli contaminati da inquinanti inorganici, come sali e metalli pesanti, sia in presenza di suoli contaminati da inquinanti organici \cite{Atanes_2019,Jin_2020}.
Gli agenti leganti adottati possono essere di natura inorganica quali, cemento, calce, argilla, pozzolana, loppa d’altoforno, polverino da carbone e fumo di silice e di natura organica quali, asfalto, bitume, resine termoplastiche e termoindurenti. I leganti più adoperati e menzionati nella letteratura scientifica risultano il cemento Portland (OPC) e la calce (CaO o Ca(OH)2)\cite{Li_2019}. I vantaggi nell’uso di questi leganti sono dovuti ad un basso costo economico, una facile ed ampia applicabilità ed una buona lavorabilità del materiale; tuttavia, soprattutto l’uso del cemento rende più vulnerabile la durabilità della miscela a causa di fenomeni di degradazione dovuti alla probabile presenza di sostanze aggressive e piogge acide \cite{Wang_2019,Xia_2019}; inoltre la loro produzione è poco sostenibile, in quanto comporta un incremento delle emissioni di CO2 in atmosfera ed un elevato consumo di energia \cite{Dung_2017}, nonché un incremento del pH (> 11) creando condizioni favorevoli alla formazione di prodotti solubili per alcuni metalli pesanti come Piombo (Pb), Zinco (Zn) e Rame (Cu), impedendone l’immobilizzazione \cite{Garc_a_2004,Xia_2019}. Per tale motivo, spesso, vengono utilizzati materiali alternativi quali, la loppa d’altoforno, il polverino da carbone e il fumo di silice, limitando costi e consumi di energia \cite{Kumar_2018}. Per la difficile accessibilità e reperibilità di questi ultimi materiali in alcuni paesi, spesso, l’argilla caolinite risulta un’ulteriore alternativa valida, grazie alle buone proprietà pozzolaniche \cite{Abdelli_2017}.
Le tecnologie di trattamento si distinguono in S/S in situ ed S/S ex situ. Il processo in situ prevede l’iniezione degli agenti stabilizzanti direttamente nel sottosuolo senza l’escavazione del terreno, utilizzando sistemi a trivellazione o ad iniezione \cite{Calgaro_2019}. Infatti, i processi in situ presentano numerosi vantaggi come l’utilizzo di attrezzature versatili per la miscelazione del suolo, un costo complessivo minore per l’assenza dello scavo e dello smaltimento in discarica, riduzione delle emissioni odorigene, minore esposizione alla contaminazione per gli operai e la possibilità di un riutilizzo del suolo quasi immediato \cite{Wang_2015,He_2015,Jin_2020}. Di contro, però, comportano una maggiore lentezza rispetto a quelli ex situ e maggiori difficoltà di monitoraggio a causa del fatto che i contaminanti rimangono all’interno del sottosuolo e si ha un minor controllo sull’efficacia del trattamento, in quanto le variabili in gioco (es. condizioni meteoclimatiche) sono molteplici, generando così un maggiore rischio di contaminazione per i ricettori ambientali, quali piante, animali, corsi d’acqua, uomo \cite{Jin_2020}. Altri limiti riguardano l’eccesso di umidità del terreno, disomogeneità del suolo, presenza di detriti e contaminazione profonda \cite{Mulligan_2001}. Le lacune mostrate dai processi in situ vengono colmate da quelli ex situ i quali, però, prevedono l'escavazione del terreno contaminato (Fig. \ref{113495}): infatti, uno dei maggiori limiti è legato proprio ad una maggiore spesa economica per la rimozione, il trasporto, lo stoccaggio e il riposizionamento del materiale contaminato; tale materiale solitamente viene trattato ed eventualmente smaltito off-site in impianti dedicati \cite{He_2015}.