Tuttavia, la complessità legata alla loro misurazione e valutazione ha ritardato la loro regolamentazione \cite{Gostelow_2001}, \cite{Naddeo_2012}.
In Italia, con l’emanazione del D.Lgs. 183/2017 attuativo della direttiva 2015/2193 sulle emissioni da impianti di combustione, è stato introdotto l’art. 272-bis nel D.Lgs. 152/2006, primo riferimento normativo sulle emissioni odorigene. A livello internazionale sono diverse le metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene \cite{Zarra_2008}, \cite{Brattoli_2011}.
In generale, gli approcci sono due: la misurazione delle fonti di emissione e/o le ispezioni di campo \cite{Zarra_2012}, \cite{Guillot_2012}. Il primo approccio può essere raggiunto tramite differenti metodi (analitico, sensoriale e/o senso-strumentale) \cite{Zarra_2008}. Il secondo approccio, invece, prevede principalmente l’applicazione del modello di dispersione atmosferica e/o delle tecniche di controllo locale \cite{Zarra_2012} ed ha bisogno di un gruppo di persone selezionate (valutatori), in conformità alla normativa EN13725:2003, per la valutazione dell’impatto odorigeno. Inoltre, la norma VDI3940 definisce, per questo metodo, delle linee guida da seguire per standardizzare il numero di misurazioni N, il periodo di analisi, l’impiego di risorse umane e il calcolo di parametri come le ore di odore per ogni punto (nh) e il carico odorigeno per ogni cella (OL). Tuttavia, questo metodo di valutazione degli impatti odorigeni presenta due criticità. Esse sono l’elevato costo, dovuto alla necessità di avere dei valutatori, e i tempi lunghi per effettuare le analisi \cite{van_Harreveld_1999}. Questo studio \cite{belgiorno2010} ha come obiettivo l’ottimizzazione di queste criticità del metodo attraverso la discussione di un caso studio.