Il materiale impiegato per la BRP deve essere reattivo verso i contaminanti da rimuovere.  Inoltre, il materiale non deve decadere facilmente e non deve essere solubile in acqua. Per evitare l’aggiramento della barriera, è necessario che la permeabilità della zona reattiva della stessa sia maggiore o uguale a quella dell’acquifero. Tra il materiale reattivo e i contaminati si sviluppano reazioni di diversa natura, le quali possono formare degli intermedi di reazione ed è importante che questi non siano più tossici dei materiali di partenza. Diversi sono i materiali che possono costituire una barriera reattiva permeabile (leghe bimetalliche, zeoliti, carboni attivi, carbonati e idrossidi di calcio, ditionite di sodio ecc), ma ad oggi il più utilizzato risulta il ferro zero valente (Fe0). Le barriere attive permeabili, a seconda del materiale utilizzato, si distinguono in biologiche, chimiche e adsorbenti \cite{Striegel_2001}
Le BRP, essendo un sistema passivo, non necessitano di impianti fuori terra, rendendo l’area immediatamente fruibile. Esse consentono di degradare pennacchi di contaminazione con sorgenti distribuite o difficilmente localizzabili, grazie al fatto che possono essere realizzate in diverse configurazioni. Le più note sono quella funnel-and-gate e quella continua. Per quanto riguarda i costi associati alle barriere reattive permeabili, essi sono legati principalmente alla fase iniziale di scavo per l’inserimento della barriera e al monitoraggio per la verifica del trattamento (costi di gestione minimi). Tuttavia, le BRP sono efficaci solo per i composti disciolti e il sistema è fortemente dipendente dal flusso di falda. Un'altra problematica riguarda la longevità e la necessità di rigenerare i materiali reattivi. In tal senso, poichè le BRP sono una tecnologia relativamente nuova, la durata media delle barriere si attesta sui 15 anni.